La messa vespertina “in Coena Domini”, con il gesto della Lavanda dei Piedi, riporta la nostra associazione all’icona del servizio, fulcro della nostra vita comunitaria. 

Come ci ha ricordato il nostro presidente, il card. Pietro Parolin, nella sua omelia del 29 febbraio scorso, «per ogni comunità cristiana l’esempio di Gesù indica che le nostre porte devono essere aperte a chiunque viva nel bisogno: di cibo e vestiti ma anche di affetto e di speranza; la nostra accoglienza non può essere riservata a chi ha i mezzi per contraccambiare, ma deve essere un vero servizio, uno spendersi “a fondo perduto”».   

Lo stesso spendersi “a fondo perduto” ispiratore del servizio che i nostri medici, infermieri, operatori socio sanitari stanno svolgendo in queste settimane in prima linea con un rinnovato spirito solidale. 

Proprio ieri sera abbiamo ricevuto una testimonianza molto toccante da parte di uno dei numerosi medici della nostra comunità impegnati nell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del COVID 19.

È un resoconto toccante che restituisce in presa diretta il lavoro febbrile e instancabile di quanti, in queste settimane, prestano il loro servizio nelle strutture ospedaliere del nostro Paese, prendendosi cura dei pazienti con grande dedizione, con smisurata umanità.

Ce l’ha inviato la dott. ssa Daniela Morabito (Geriatra ASL VCO), nostra “storica” associata. Il suo racconto ci è sembrato un dono da condividere con tutti voi proprio nel giorno, il Giovedì Santo, in cui iniziamo il Triduo Pasquale.

Qui di seguito vi riportiamo il testo della lettera di Daniela.

L’esperienza di un medico ai tempi del COVID 19

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Hanno appeso uno striscione sul cancello dell’Ospedale di Verbania. Non è la solita proclamazione di uno sciopero, non sono parole di protesta. C’è scritto: “ Grazie a tutto il personale medico che ogni giorno rischia la vita per salvare la nostra”. Lo vedo mentre, di corsa, arrivo per fare il turno di notte, il quinto in due settimane da quando sono stata assegnata nel reparto dove sono ricoverati i pazienti affetti da Covid 19. Fino ad allora ero un medico  geriatra che, da anni, lavorava prevalentemente in ambulatorio. In ospedale mi limitavo a qualche consulenza e mi occupavo di malattie croniche, in particolare di persone con demenza. L’emergenza ha determinato una carenza di personale sia perché alcuni medici sono risultati positivi al test  SARS- COV 2, sia perché i malati sono aumentati in modo repentino nel giro di pochi giorni e si sono dovuti aprire nuovi reparti interamente dedicati alla gestione di questa patologia e quindi è stato reclutato anche il mio Servizio. Rapidamente abbiamo dovuto acquisire tutte le conoscenze e competenze utili, riabituarci a lavorare in un reparto ed in un contesto di emergenza.  Quelli che vengono ricoverati hanno  una forma di  polmonite interstiziale che determina quadri di insufficienza respiratoria grave che spesso peggiora  fino a necessitare trattamenti di ventilazione non invasiva e invasiva. Per molti l’accesso alla terapia intensiva è preclusa dall’età e dalla presenza di altre patologie associate, per scelte che sono derivate dalla mancanza di risorse e di posti. Tanti, non ce la fanno. I familiari non possono entrare nel reparto e quindi può capitare che, dopo il ricovero, non rivedano più i loro cari

Questa l’ esperienza che mi porto dentro quando arrivo in ospedale e mi fermo davanti a quella scritta. Mi commuovo, mi sembra una carezza  per alleggerire le fatiche che devo affrontare, per darmi forza. Tante altre volte, negli ultimi giorni, mi sono commossa e ho anche pianto. Alcune volte perché mi sembrava terribile ed inaccettabile quello che stava succedendo: le sofferenze ed i dolori che vedevo in ospedale, il non potere dare un bacio ai miei figli e ai miei genitori per paura di  essere fonte di contagio, la solitudine spettrale dei meravigliosi luoghi in cui vivo tra il lago Maggiore, il Lago d’Orta e la Val d’Ossola dove  la natura, apparentemente indifferente ed in contrasto con quello che sta accadendo, continua ad andare avanti proponendoci i suoni ed i colori della primavera. Ma forse, più spesso, il pianto è stato per lo stupore e la consolazione  davanti a manifestazioni di gratitudine e a  gesti di solidarietà inaspettati. Quanti grazie  e riconoscimenti per il nostro lavoro (anche a me che mi sentivo così inadeguata!) ho sentito al telefono dai familiari in quelle brevi conversazioni in cui li aggiornavamo delle condizioni dei loro cari, anche se spesso le notizie che potevamo dare non erano positive. Ed ho pianto di gioia davanti a  prove concrete dell’esistenza della Provvidenza! Ci avevano detto che stavano finendo i camici monouso idrorepellenti con cui ci proteggiamo per entrare nell’area infetta ed eravamo tutti  molto preoccupati, sia medici che infermieri. Dopo poche ore vengo a sapere leggendo il  giornale che il proprietario di una fabbrica di cioccolato  di Verbania (il nostro  Willy Wonka) lo aveva saputo e, oltre ad una considerevole quantità di cioccolatini, avrebbe mandato anche i camici per noi. E ancora, dopo la  prima settimana in cui siamo rimasti  quasi senza mangiare e bere durante il turno di lavoro, un giorno,  sudati, estenuati dopo avere fatto il giro dei malati con le nostre bardature protettive (cuffia, visiera, camice o tuta, guanti), abbiamo  trovato  acqua e panini offerti dai negozianti della città a ristorarci.

E, in questo momento, diventa motivo di emozione forte e positiva anche vedere come tra colleghi si sia riscoperta una solidarietà, un  sostegno reciproco che non  avevamo mai sentito così intensamente.  Sono diminuite le lamentele, paradossalmente c’è molto meno burn out di prima, anche se siamo tutti sconvolti da quello che vediamo e viviamo. Sono arrivati medici volontari  e ognuno, anche il più inesperto,  aiuta per quello che può.

Vado dentro l’ospedale, allora, e anche se è notte  non mi sento sola, ho un po’ meno paura e spero. Spero che arriveranno meno pazienti perché ognuno sta facendo la sua parte anche solo rimanendo a casa; spero che con i nuovi schemi terapeutici che stiamo usando ci saranno più persone che migliorano e guariscono  (negli ultimi giorni abbiamo avuto la grande gioia di dimettere alcuni pazienti: è stata una festa per tutti!); spero che  non dimenticheremo  il dolore di questo tempo ma anche le cose importanti e belle che stiamo vedendo; che non perderemo quella forza che ha tirato fuori  in noi questa esperienza; e spero che rimarrà sempre forte, come adesso, il desiderio di abbracciarci, di un abbraccio profondo che  contenga tutto il bene che, più di prima, sentiamo di volerci e tutto il bisogno, rafforzato nei tempi del distanziamento sociale, che abbiamo  gli uni degli altri.