La parola che abbiamo approfondito nella rubrica “Lessico comunitario” dell’ultimo numero del nostro periodico è “Dialogo”. Una parola che oggi sembra avere un ruolo sempre più importante, sia nello scenario internazionale che nella vita privata di ognuno di noi. Dialogo è anche una parola che ci ricollega al centesimo anniversario della nascita del nostro Cardinale Achille Silvestrini, ed è per questo che abbiamo chiesto al Cardinale Edoardo Menichelli di accompagnarci in una riflessione sul tema.

del Card. Edoardo Menichelli

Sebbene io non sia un esperto delle dinamiche che nutrono il dialogo e lo rendono fecondo, scriverò qualcosa che è frutto di una convinzione personale e anche il risultato di un esercizio che ha caratterizzato il mio servizio pastorale. Sono due i riferimenti che mi hanno aiutato nel formarmi al dialogo e appartengono a due persone significative nella vita della Chiesa e nell’impegno educativo: il cardinale Martini e il nostro cardinale Silvestrini. 

Dal cardinal Martini ho sempre appreso il grande valore educativo della Bibbia dal momento che in Essa troviamo una modalità di relazione e un’idea viva di un Dio che dialoga e che attraverso la Sua Parola educa, orienta, salva e pacifica. Quando Dio dà lo Spirito vitale all’uomo e alla donna, Egli dice di aver fatto “una cosa molto buona” perché aveva un interlocutore capace di accogliere, di riflettere, meglio ancora capace di libertà e di parola. Tutta la relazione di Dio con l’uomo (una relazione che diventa storia di salvezza), si struttura in un dialogo con personaggi biblici ai quali affida un compito, con i quali dialoga e ai quali chiede la collaborazione. Con Noè instaura la prima alleanza di salvezza; con Abramo il dialogo fruttuoso per renderlo padre di un popolo nuovo; a Mosè affida il ministero di una liberazione che è frutto di sacrificio, di speranza e di fiducia in Lui. Questo dialogo si completa in Gesù Cristo, Parola vivente di Dio e contemporaneamente accadimento definitivo della verità che salva. Il dialogo di Dio con l’uomo è per la salvezza e per la responsabilità condivisa che porta al bene.

Del cardinal Silvestrini, che mi fece dono di chiamarmi come suo segretario, ricordo, oltre il suo stile quotidiano vissuto in un dialogo aperto e stimolante con tutti, una parola-testamento che mi disse (tra diversi altri suggerimenti) il giorno in cui mi comunicò che il Sommo Pontefice, San Giovanni Paolo II, mi aveva nominato Arcivescovo della Arcidiocesi di Chieti-Vasto: “ricordati, quando parlerai con le persone o le persone vorranno parlare con te, non chiedere mai la carta di identità: fai come Gesù che parlava con tutti e a tutti diceva una parola di grazia”. 

Queste due esperienze mi hanno fatto capire come attraverso il dialogo non solo si esercita una modalità di relazione ma si compie anche un’opera di crescita e di misericordia. 

Per far questo è necessario dare il primato all’interiorità, a quel rispetto dell’intimità di una persona che mai deve essere invasa ma capita e rispettata. Il dialogo allora apre ad una circolarità feconda e ad una dinamica fatta di esperienze condivise, di reciproco discernimento e soprattutto di comprensione. 

Certamente il dialogo è una “fatica” perché impone, a chi lo vuole praticare in un modo rispettoso e fecondo, la necessità di oltrepassare la barriera della superbia, la tentazione della superiorità e la pochezza della incomprensione. Tutto questo richiama, seppur in modo imperfetto, il comportamento di Dio e aiuta a dare delle regole etiche alla relazione personale con l’altro. 

Dio non impedisce mai, ai soggetti con i quali parla e ai quali chiede responsabilità, di dialogare con Lui, di presentare le difficoltà al progetto proposto e di dire francamente: “come può avvenire questo?”. Occorre avere molta delicatezza spirituale e stima dell’altro alla luce di questo metodo di Dio, perché impedire il dialogo è come togliere la libertà.

Per un dialogo fecondo occorre anche essere capaci di assaporare il silenzio che nutre, che non ha fretta, che, facendoti dire la verità su te stesso, ti invita ad aiutare l’altro. Questa sapienza che qualifica il dialogo ti aiuta a capire i silenzi di solitudine, le paure interiori che abitano negli interlocutori che di tempo in tempo ti chiedono di essere ascoltati. Dialogo e pazienza, pazienza e ascolto: questa la buona trama di un dialogo che oggi presenta due difficoltà: non aver tempo ed essere pieni dei rumori del mondo che non danno spazio all’ascolto delle problematiche dei fratelli. 

Quando ero chiamato a dialogare con un sacerdote, con una persona qualunque, cercavo non tanto di rappresentarmi il problema quanto piuttosto di entrare in un laboratorio di contemplazione per scoprire il possibile alfabeto che mi avrebbe aiutato ad ascoltare. 

Il campo del dialogo è ampio: interpersonale, familiare, sociale, politico e internazionale. Dentro questo campo c’è il confronto, l’apertura di sé con verità, l’ascolto delle inquietudini, la speranza della concordia e della pace come approdo da conquistare. Solo così si raggiunge l’obiettivo del dialogare che traduco con: un arricchimento condiviso, una sorta di edificazione del nuovo e anche di una vita sociale bonificata dalle ingiustizie e dalle vanità superbe. 

Solo con il dialogo le nostre varie relazioni ci danno la bellezza della vita e ci fanno tramandare un racconto lieto della storia. Buon dialogo.

Foto di Mikhail Pavstyuk su Unsplash