“Troppo spesso si è condizionati da modelli di vita banali ed effimeri che spingono a perseguire il successo a basso costo, screditando il sacrificio e inculcando l’idea che lo studio non serve se non da subito qualcosa di concreto. Lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalle banalità e a cercare il senso nella vita”.
Con le parole tratte dal discorso di Papa Francesco lo scorso mese presso l’Università di Bologna, Don Claudio Maria Celli apre il seminario autunnale 2017, dal titolo “Farsi prossimi e a avviare processi: forme e stili di servizio nel mondo”, volendo sottolineare lo scopo delle giornate che ci vedono insieme. Il seminario vuole per l’appunto far riscoprire, nelle varie tematiche che verranno affrontate, il senso profondo della vita.
Il primo intervento della giornata del 17 novembre, dal tema “Umile, disinteressata, beata. Il volto della Chiesa oggi, nel magistero di papa Francesco”, è stato tenuto da Don Severino Dianich, Vicario Episcopale per la Pastorale della Cultura e dell’Università nella Diocesi di Pisa, nonché Direttore Spirituale nel Seminario Arcivescovile di Pisa. Una tesi di facile condivisione è che la chiesa sente il bisogno di una riforma, che già sentiva nei secoli precedenti (infatti sono a noi noti i vari tentativi di riforma), ma che oggi arriva ad una fase conclusiva. Papa Francesco nel convegno ecclesiale di Firenze diceva: ”Dio protegga la chiesa italiana da ogni surrogato di potere, di immagine, di denaro, non dobbiamo essere ossessionati dal potere anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della chiesa”. Il papa quindi avverte attorno a questi temi una situazione di disagio. Assistiamo in Europa ad una sempre più fervida laicizzazione dello Stato, che comporta un discostamento dai costumi della morale cattolica, ad esempio in Italia nel ‘74 con il referendum sul divorzio, o ad una sempre più frequente convivenza senza il matrimonio, o al calo dei battesimi dei bambini. Questo scenario ci apre appunto al tema dell’esigenza di una riforma, per cercare di trovare un posto alla chiesa nella società civile. Nel magistero di Papa Francesco vi è un crescente affermarsi dell’evangelizzazione. Bisogna far conoscere il Vangelo, oltre a chi vive già la fede cristiana, al resto dell’umanità che non conosce il nostro credo. Papa Francesco ci spiega come non evangelizzare, egli scrive nell’Evangelii Gaudium n.10: “Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, di ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo che abbiano per primi ricevuti in loro la gioia di Cristo”. Non bisogna permettere che si vadano ad annunciare valori morali ideologici, il Vangelo così rischia di perdere il suo vero significato. In conclusione, il professore, riprendendo nuovamente le parole del papa, ribadisce che la Chiesa è chiamata proprio da Cristo alla continua riforma.
Il secondo intervento, invece, è stato curato da Cristina Simonelli, docente di teologia patristica a Verona e presso la Facoltà dell’Italia Settentrionale e Seminario Arcivescovile Venegono, dal titolo “Dalla presenza cristiana ai cristiani presenti. Le nuove forme di partecipazione e di servizio nella società e nella Chiesa”. Anche la professoressa inizia con il porre l’attenzione sul fatto che serva un gesto di riforma per fare in modo che le cose cambino.
“C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non ritira dal mondo. C’è gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie e lutti ordinari. È la gente della vita ordinaria. Gente che si incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo; amano la porta che si è richiusa definitivamente sopra di essi. Noi altri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario ci mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato.”
Questo celebre passo, di profondissima spiritualità, di Madeleine Delbrel dovrebbe essere il punto di partenza di tutte le riforme; ci invita a leggere il Vangelo con uno sguardo diverso. Bisognava avere questo atteggiamento per vivere in un’epoca in cui era difficile parlare agli altri, a chi era fuori dalla fede cristiana, in quanto vi erano dei meccanismi in grado di rendere muta la Parola. Nelle nostre comunità cristiane dobbiamo cercare di appartenere gli uni agli altri, in maniera tale da rendere evidente che apparteniamo all’umanità intera. Non dobbiamo innalzare muri altrimenti diventa difficile aprirsi al resto del mondo. Il problema del discernimento, del singolo ma che può essere anche collettivo, è che si rischia di avere pazienza dove ci vorrebbe l’urgenza e di avere frettolosità dove invece si richiederebbe pazienza.
Qualunque sia la direzione della società attuale, abbia la Chiesa sempre le porte aperte, in modo da far entrare coloro che intendano entrarvi, permettendo a coloro che vivono nella difficoltà di non perdere la speranza.