Comincia oggi il nostro convegno primaverile “Mondo Digitale: rischi ed opportunità di una vita non solo sul web”. Nei prossimi tre giorni parleremo, accompagnati da vari esperti del settore, della sicurezza online, dell’identità virtuale e della privacy, dei big data, delle fake news e delle criptovalute, analizzati nel loro impatto sulle vite di tutti i giorni e nei loro possibili sviluppi.

Nella prima serata abbiamo avuto come ospite Chiara Giaccardi, professoressa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ci ha aiutati nel fare un’analisi sociologica della nostra società “iperconnessa”.

E’ un bisogno, quello di superare la frammentazione che non può essere risolto dalla tecnica, ma necessita del nostro contributo. Quindi l’infrastruttura tecnologica può essere preziosa, ma non aspettiamoci che compia quel passo che è soltanto umano.

Secondo la dottoressa Giaccardi, bisogna tenere conto che ogni ambiente ha delle opportunità e delle insidie, compresi gli ambienti naturali. I rischi ci sono, ma bisogna saper dire no alle tre D: determinismo tecnologico, dualismo digitale e divario generazionale. Bisogna sapersi adattare all’ambiente, abitarlo dandogli una forma, un significato, una storia. Il dualismo digitale è quello che afferma che il mondo vero è fuori, che ogni minuto che uso su internet è un minuto sprecato di vita reale. Anche questa è un’affermazione semplicistica. L’incontro faccia a faccia non è di per se garanzia di comunicazione, così come una relazione che ha come mezzo uno strumento tecnologico non è una finzione. La sfida è essere autentici online e offline, mettere in sinergia questi territori e la nostra esperienza in essi. La distinzione tra online e offline non ha più molto senso, ormai sono mescolati. Con la rete io sono qui ma sono anche altrove. Inoltre, non dobbiamo rassegnarci al divario generazionale, ma coglierle come un’alleanza da cui può nascere qualcosa di buono da tutti.

Tutte le soluzioni come il digital detox non sono efficaci perchè non si interrogano sul senso: non è il come si sta su internet che fa la differenza, ma come ci si sta. La sfida è stare bene nella rete, non privarsene. Sia che usiamo o non usiamo il cellulare, il mondo è cambiato da quando esiste. I media riconfigurano tutto l’ambiente.

Si può fare tranquillamente un elenco dei pro e dei contro dell’uso di internet e dei social media, ad esempio da un parte si ha la facilità nel creare relazioni, dall’altra le relazioni sono più superficiali. I pro e i contro si bilanciano, non si può estremizzare; bisogna accettare questa tensione. Il cyberbyullismo, ad esempio, è frutto della rete o è solo un palcoscenico e un amplificatore di un problema preesistente?

Uno dei rischi più potenti è quello delle fake news o post-verità. L’opinione e l’emotività hanno più forza nel definire la veridicità di fatti obbiettivi, ma ormai è diventato un problema l’oggettività stessa. Non basta la verifica dei fatti per smascherare la post-verità: la verità non è un accumulo dei fatti. Più informazione non significa più conoscenza. C’è il funzionalismo cinico per cui si ritiente vero ciò che funziona, o che pensa che è vero ciò che ci rassicura in ciò in cui già crediamo. E’ sbagliata anche la quantificazione – appoggiarci a sondaggi, quantistiche, ecc – perchè sappiamo che i sondaggi dipendono da come si pone la domanda, ad esempio. Un altro aspetto è quello dell’aggressività, ormai si pensa che più si urla più si è autentici. La scena mediatica rischia che abbia ragione chi ha la voce più grossa. La soluzione è la parresia, dire quello che si pensa consapevoli del limite della propria visione. Parresia è essere responsabili verso ciò che diciamo e coloro a cui lo diciamo, come dovrebbe essere per i giornalisti. Parresia non è dire “ho scoperto la verità” ma dire “io ho scoperto questo”. E’ un patto fiduciario che ha come prova di verità il fatto che ci si mette la faccia e si accettano i rischi. Il contrario è l’ipocrisia: dire ciò che conviene.Non c’è una soluzione tra il buono e il cattivo, il vero e il falso, ma c’è sempre una tensione che dobbiamo imparare ad abitare per quanto scomoda sia. La verità è ciò che non possiamo mai pretendere di raggiungere e possedere, e ciò che non possiamo mai smettere di cercare. Combattere la post-verità è superare la frammentazione, ricostruire i contesti delle notizie, rimettere insieme i pezzi, vedere più punti di vista, ridare concretezza a ciò che è astratto.

L’entropia punta sull’individualismo e il sistema tecnico: l’iperconnessione di per se non produce più relazione, ma favorisce la frammentazione. I big data sono forme di disgregazione. La polarizzazione e i populismi sono invece una forma di aggregazione, ma di aggregazione contro qualcuno. La sintropia indica invece quella forma di convergenza attorno a un fine che attira forze disperse e dà loro una forma che è vitale. Sono fenomeni che noi possiamo coltivare ma non fabbricare. La sintropia punta sulla libertà, che non è un’idea quantitativa, non è avere più scelte a disposizione, ma capire dove vogliamo mettere la nostra vita, a cosa ci vogliamo legare, dove vogliamo incanalare le nostre energie e le nostre competenze.

Conclude parlando della novità, cioè la capacità di mettere al mondo qualcosa di nuovo, di unico e irripetibile. Se vogliamo essere generatori di novità autentica, non di innovazione che dura poco, serve la fede, che dia unità, concretezza, varietà alle nostre vite. La fede è una corda, un legame: se uno cade, gli altri lo tengono.

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