Abbiamo appreso con sincero sconcerto della morte, lo scorso 26 Novembre, di Alessandro Leogrande, nato appena quaranta anni fa a Taranto. Ciò non solo per la giovane età e per il valore della persona, ma anche perché lo avevamo conosciuto e apprezzato direttamente a Villa Nazareth.

Alessandro Leogrande, laureato in filosofia, è stato un giornalista e scrittore. I siti e i quotidiani, nel riportare la notizia della sua morte, ne hanno tracciato il profilo: Repubblica ne ha ricordato “gli anni di militanza e impegno politico e intellettuale, una matrice che lo ha accompagnato nei suoi anni di lavoro attraverso inchieste sulla criminalità organizzata, sul caporalato in Puglia, sull’acciaieria Ilva”. Ha collaborato con riviste, quotidiani, radio: per citarne solo alcuni, il Corriere del Mezzoggiorno, Internazionale, Rai Radio 3. Negli ultimi mesi, in Argentina, lavorava a una storia delle dittature militari.

Tra i suoi libri da ricordare almeno Uomini e caporali, sul primo processo contro la schiavitù dei braccianti stranieri nei campi pugliesi, e Il Naufragio, sul dramma dell’immigrazione albanese.

Io ebbi modo di conoscerlo personalmente proprio in conseguenza di un’attività di volontariato che svolgemmo nelle campagne lucane, con una scuola di italiano per i braccianti africani. Lì, con gli altri volontari, potemmo vedere dal vivo le terribili condizioni di vita e lavoro di questi giovani per lo più Burkinabe, e scoprimmo questo autore che fu tra i primi ad occuparsi delle tragedie legate a quello sfruttamento, partendo dagli immigrati dell’Europa dell’Est negli anni Novanta.

Conoscere la persona dopo gli scritti ne confermò la profondità, i valori, l’affabile disponibilità. Qualità che ha ricordate il padre nel comunicare la scomparsa, sottolineandone anche il cammino di fede.

A Villa venne perché pensammo con i ragazzi della Commissione cultura che fosse il relatore adatto nel seminario “EticaMente: nuove prospettive nell’economia e nel mondo del lavoro”; partecipò il 19 Marzo 2016 alla sessione intitolata, significativamente, “Il lavoro nobilita l’uomo?”. Ci parlò della sua Puglia e di ciò che era accaduto negli ultimi anni, frutto di inchieste condotte direttamente, con scrupolo e partecipazione. Uno sguardo che sapeva recuperare la dignità di quei giovani uomini, raccontandone garbatamente, ma senza indulgere ad alcun buonismo, una vita di sconfitte e capacità di reagire.

Ricordo che i giorni seguenti ricevetti messaggi da alcuni studenti che ringraziavano di quell’incontro. È un sentimento che permane, consolazione al dolore di una perdita troppo prematura.

Massimo Gargiulo