Con “L’ALTrA cucina… per un pranzo d’amore”, iniziativa promossa da Prison Fellowship Italia Onlus, Rinnovamento nello Spirito e Fondazione Alleanza Onlus, il 18 Dicembre, è stato offerto un pranzo natalizio preparato da chef di fama a circa 1500 persone in diverse carceri d’Italia, inclusi la Casa Circondariale di Rebibbia e l’Istituto Penale Maschile e Femminile per Minorenni di Casal del Marmo a Roma dove un numeroso gruppo di studenti e studentesse del Collegio Universitario Villa Nazareth ha prestato il proprio servizio accanto a testimonial del mondo dello spettacolo, della musica, del teatro, della televisione. Ecco le testimonianze dei nostri ragazzi:
«Osservando a lungo i detenuti ieri ho constatato quanto preziosa sia la libertà che abbiamo nella nostra vita e l’amarezza che ho provato nel vedere dei giovani, alcuni di loro nostri coetanei,che di questa libertà sono privi perché hanno sbagliato.»
Una esperienza non semplice che ha visto i nostri studenti impegnati dal primo mattino al pomeriggio presso le due realtà romane scelte per ospitare l’evento. Studenti e studentesse che per un giorno, prima di Natale, hanno lasciato i propri libri e le loro stanze per varcare le sbarre delle carceri e prestare loro stessi all’incontro con i detenuti.
« Nei loro volti ho colto tristezza, inquietudine, spesso mascherata da un forte senso di sana spavalderia, disillusione nei confronti di una realtà che, una volta usciti da quelle quattro mura, resterà identica a prima. Ho trovato, tuttavia, anche un forte senso di rispetto nei confronti dell’altro ( sono rimasta profondamente colpita dalla loro insistenza nel voler aspettare noi volontari prima di iniziare a mangiare, nonostante il cibo divenisse freddo), ma soprattutto grande tenerezza. È disarmante quando scorgi tenerezza negli occhi di chi, il giorno, la settimana o il mese prima, ha compiuto un furto, un’aggressione o ha spacciato nel proprio quartiere; ma, forse proprio in ciò risiede il senso più profondo di tale tipo di attività: vedere non la colpa, non il reato, ma l’essere umano nella sua infinita fragilità.»
L’esperienza di ieri è stata molto emozionante e altrettanto sconvolgente per tutti. Ha permesso ai nostri studenti di incontrare gli sguardi di persone impegnate a vivere, o sopravvivere, una vita completamente diversa da quella che siamo abituati ad immaginare. L’organizzazione dell’evento a Rebibbia aveva previsto un lungo corridoio per il servizio del pranzo e questo ha permesso ad una nostra studentessa di rubare sguardi che raccontano storie: «Gli occhi di queste donne erano ricchi di gioia, stupore, gratitudine, mi hanno parlato. Mi hanno ammonito sulla mia libertà, come farebbe una sorella maggiore. Se sprecassi la mia libertà non farei solo male a me stessa ma, tradirei ognuna di quelle donne pentite i cui sguardi che ho incontrato nascondono il desiderio di poter tornare ad essere responsabilmente e fortunatamente libere di nuovo.»
«Ciò che mi ha colpito di più, è che ho sempre avuto l’idea del criminale che non si è pentito, che ha fatto qualcosa di terribile e deve pagarne la conseguenza, levando loro ogni briciolo di umanità. Umanità che oggi invece mi ha travolta come una doccia fredda. Guardavo le madri con i loro bambini e non pensavo più “Guarda che vita stai regalando a tuo figlio”, ma le immaginavo la notte chinate sulla loro culla guardandoli dormire, invidiando la loro purezza, che piangono pensando “Perdonami se non ti posso dare la vita che ti meriteresti, perdonami se stai pagando anche tu le conseguenze dei miei errori”. E ci può essere una sofferenza più grande di questa per una madre? »
L’evento non è stato solo un pranzo, ma anche un’occasione di incontro, di allegria, di condivisione e testimonianza. A Rebibbia, tra gli altri, è intervenuto Salvatore Martinez, il presidente del RnS :
«Dopo la lettura del discorso di Papa Francesco rivolto ai detenuti, ha emozionato il cuore dei presenti dicendo che la vera prigione non è quella tangibile che abbiamo intorno ma quella ben più difficile da estirpare che attanaglia il nostro cuore, accomunando tutti noi che eravamo lì (detenuti e non) nella stessa responsabilità di impegnarci a liberare il nostro cuore dal male che facciamo ogni giorno in forme diverse. “Perché se uscite da qui senza esservi liberati dalla vostra inclinazione al male, potrete anche essere liberi dalle sbarre, ma non vi sentirete realmente liberati”. Ed improvvisamente è calata la barriera che separava i ruoli in cui tutte quelle persone ci trovavamo lì, perché vincolati dalla stessa realtà. I racconti delle poliziotte, le parole delle detenute, la confidenza dei personaggi famosi, la cucina degli chef, sono stati delle esperienze di Grazia.»
«La cosa più importante per me è stata esserci, esser presente lì con la mia comunità offrendo un servizio in modo gratuito, profondamente umano e umile.»