La guerra ha da sempre segnato la storia dell’umanità. Sin dell’antichità il desiderio di conquista, motivato da ragioni economiche e sociali, ha spinto i popoli ad uscire dai confini dei propri Stati per dirigersi altrove, verso altri confini, in altre società, portando con sé la violenza, la morte e l’idea della sopraffazione.
Dalla ormai consueta cornice di Dobbiaco, abbiamo aperto nella mattina del 29 luglio la Summer School organizzata da Villa Nazareth, incentrata quest’anno sul tema della guerra, che diventa protagonista di una riflessione orientata ad una migliore comprensione, basata nel caso specifico di oggi su validi contributi di natura giuridica e socio-politica.
Tre lezioni aperte al pubblico che si sono alternate alle esperienze comunitarie per i nostri studenti.
La guerra, con le molteplici sfumature di questa complessa realtà, rappresenta un tema che «ci tocca da vicino, anche se non siamo direttamente coinvolti.» ha affermato mons. Claudio M. Celli all’apertura della prima lezione. Ha poi insistito sulla necessità di interrogarsi e trovare delle risposte rispetto alla realtà nella quale siamo chiamati a vivere, allargando l’orizzonte al di là del proprio piccolo, ha citato le parole del Pontefice Paolo VI durante la visita all’Organizzazione delle Nazioni Unite il 4 Ottobre 1965: “Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!”.
Prima lezione. “Una questione di vita e di morte per gli Stati” (Sun Zi).
Il primo intervento è stato del prof. Paolo Bargiacchi, docente presso l’Università degli Studi di Enna Kore e ordinario di diritto internazionale. Per lanciare uno sguardo geopolitico sulla guerra concentrandosi sulle relazioni internazionali, è stato indispensabile chiarire quale sia l’importanza del diritto internazionale.
«Ricordiamo che il diritto è un prodotto della politica, un prodotto della società. Se vi fossero delle lacune nel diritto, se la norma non fosse convincente o adeguata, il dito non andrebbe puntato verso le norme ma verso chi ha prodotto o tentato di costruire quel diritto. Le norme non vivono di forza, ma sono strumenti degli esseri umani.»
Per questo è particolare, e fa riflettere, quella che è la differenza sul piano teorico generico del diritto internazionale con il piano effettivo, pratico e applicativo dello stesso. La storia, ripercorsa con peculiari esempi da parte del professore, disegna un impegno comune volto a garantire la pace. Ma, purtroppo, non sempre tali intenti hanno trovato una applicazione effettiva nel rispetto del diritto dell’AJA o della Convenzione di Ginevra.
«L’idea che di fronte ad un genocidio si debba intervenire per arrestarlo è ovviamente una idea assolutamente corretta, su un piano teorico generale. La comunità internazionale ha il diritto di intervenire e di usare la forza, secondo questo piano. Il problema è sul piano pratico poiché manca il consenso ad una azione di comunità, di gruppo.»
È successivamente intervenuto il dott. Germano Dottori, Cultore di Studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma e consigliere redazionale scientifico della famosa rivista italiana di geopolitica Limes. Col suo intervento ha voluto spiegare le caratteristiche che una società dovrebbe avere per non rischiare di essere compromessa dalla guerra. Valori fondamentali per evitare conflitti sono l’amore e la solidarietà, nel caso di piccole comunità, come la famiglia o piccole organizzazioni. In una prospettiva più ampia, i rischi di guerra sono dati dall’assenza di scambi equi o dalla presenza di un eccesso di prestigio, onore e autorità di un Paese.
“Il modo migliore per evitare che scoppino le guerre è assicurare un equilibrio delle potenze. Non dobbiamo smettere di lottare contro la guerra, ma dobbiamo essere sufficientemente prudenti per difenderci da questa realtà nel momento in cui si presenta.”
I temi affrontati sono molto attuali: qual è il ruolo del diritto internazionale oggi? In che modo esso si intreccia a questioni quali la responsabilità di proteggere degli Stati, i diritti e la sicurezza umana? Dove si colloca il limite tra intervento umanitario ed ingerenza nella politica interna altrui? Gli esperti intervenuti hanno tentato di rispondere a queste ed altre domande, proponendo soluzioni e prospettive.
Il quadro emerso è critico: riformare la società per riformare i rapporti nella comunità internazionale, riformare le istituzioni interne degli Stati per costruire rapporti migliori con l’estero; ecco cosa servirebbe a limitare il rischio (o la presenza già concreta) della guerra oggi. In un mondo il cui “L’equilibrio del terrore” sembra ancora essere l’unico sistema efficacie per limitare le pretese bellicose dei Paesi più influenti, una riflessione approfondita sul ruolo delle armi e della paura oggi dovrebbe portare ad un reale ritorno all’umanità.
Seconda lezione. “Le nuovi armi cambiano le guerre, ma sono le guerre che cambiano il mondo” (Pietro Aretino).
La seconda conferenza, tenuta il 31 luglio, ha visto al centro della discussione due temi: i tristi strumenti della guerra, le armi, con particolare riferimento alle armi chimiche, e la presentazione del Corpo militare della Croce rossa, soggetti dei quali abbiamo analizzato diversi aspetti, con l’aiuto di massimi esperti dei vari ambiti.
L’intervento del prof. Ferruccio Trifirò, professore emerito presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e membro scientifico dell’OPAC (l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche), si è concentrato su un’accurata classificazione delle tipologie e modalità di impiego delle armi chimiche. Questi strumenti di manifestazione della forza bellica sono più che mai attuali, portati in maniera preoccupante alla ribalta dalle cronache internazionali degli ultimi anni. La nostra analisi si è concentrata soprattutto sul loro funzionamento e sulle organizzazioni nate, in ambito internazionale, orientate alla limitazione, fino al completo annullamento, dell’utilizzo di queste armi particolarmente insidiose.
Il secondo intervento del tenente colonnello Gerardo di Ruocco, capitano del Corpo Militare Volontario CRI, è stato incentrato sull’identità e sul ruolo del Corpo militare della Croce Rossa, nell’ambito delle misure messe in atto in qualsiasi caso di emergenza. Attualmente il corpo è attivamente impegnato a livello mondiale su vari fronti e in vari scenari, non solo bellici, ma in ogni caso di necessità, andando fino alla cura prestata ai corpi delle vittime di disastri naturali o causati dall’uomo.
Compiti del Corpo sono essenzialmente due: assicurazione dell’erogazione di assistenza sanitaria, garantendo al personale addetto le condizioni materiali e fisiche per l’esercizio delle funzioni mediche indispensabili, e la diffusione del diritto internazionale umanitario. Proprio a partire da questo ultimo punto, parte un’ampia illustrazione delle norme che regolano la scelta delle armi nell’ambito dei conflitti, soffermandosi anche sui limiti che la comunità internazionale presenta sulla questione.
La lezione ha tentato di rispondere a questioni che chiamano direttamente in causa la coscienza degli Stati e di tutti i gruppi coinvolti nelle guerre; fin dove le ragioni della guerra possono spingersi, a scapito del rispetto dell’umanità? Come analizzare minacce purtroppo sempre più attuali, come quella delle armi atomiche? E ancora: l’etica, la lotta ad ogni tipo di arma, la salvaguardia dei civili, il problema della mancata adesione di alcuni Paesi alle convenzioni che tentano di controllare la diffusione e lo sviluppo di sempre nuovi strumenti di uccisione e danno, che ostacola la lotta alla violenza senza umanità.
Ancora una volta, doverosi richiami non solo al diritto internazionale, ma anche alle ragioni nascoste della storia e degli Stati.
Terza lezione. “Una professione con la quale un uomo non può vivere onorevolmente” (Niccolò Machiavelli).
La guerra come fonte di ricchezza. L’economia come motore dei conflitti.
L’ultima lezione di questa Summer school si è aperta il 2 Agosto all’insegna dell’analisi economica dei fenomeni bellici, non solo di quelli in corso tra più Paesi, ma anche dei conflitti di matrice civile e terroristica, ancora una volta accompagnati nella riflessione da esperti professionisti e conoscitori del settore.
Qual è il ruolo dell’economia nello scoppio delle guerre? Come l’avvento di un conflitto può essere sfruttato al fine di superare una crisi economica? Chi guadagna dalla guerra?
Il primo intervento, quello del prof. Giuliano Luongo, Dottore Magistrale in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e collaboratore dell’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie), ha tentato di rispondere a questi ed altri interrogativi indagando gli eventi nella prospettiva delle ragioni economiche del conflitto, con l’analisi di casi concreti.
Il “mestiere della guerra”, nato sin dagli albori della civiltà umana, ha profondamente mutato aspetto nel corso dei secoli. Esso non si limita più al solo combattimento sul campo, ma si estende a tutto ciò che lo prepara e lo segue. In questo contesto si colloca il successo dell’industria delle armi, attiva non solo a livello statale, ma anche e soprattutto nel privato, beneficiando della bellicosità dello stato nel quale è operante. Le società produttrici di armi creano posti di lavoro, avviando quindi una pericolosa liaison tra guerra, economia e politica che giova alle lobby delle armi e spinge al supporto della guerra.
La guerra è diventata dunque un business necessario per il sostentamento economico di alcuni Paesi.
Attraverso il ricorso al concetto di razionalità economica, abbiamo cercato le ragioni dei conflitti, arrivando alla conclusione, affatto scontata, bensì critica e basata su dati reali, che, per vie diverse, le guerre sono tutte (con rare eccezioni) guerre economiche, mosse dalla ricerca di nuove risorse, nuovi sbocchi commerciali, nuovi ordini sociali, anche se accuratamente mascherate.
Effetti economici dei conflitti: la guerra è redditizia per pochi ma devastante per molti; situazione che peggiora gravemente in caso di guerre civili. La guerra mina profondamente l’economia interna di un Paese: distruzione delle infrastrutture, crollo degli investimenti esteri, danni al sistema agricolo e industriale, distruzione di capitale umano e sociale, militarizzazione della società, distorsione delle politiche, orientate al solo investimento nel settore bellico, con conseguenze disastrose per i cittadini nel medio e lungo periodo. Pochi invece i vantaggi, che toccano minimamente i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto, alimentando invece le finanze dei Paesi supportanti le fazioni in guerra, non solo durante gli scontri, ma specialmente nelle fasi postbelliche di ricostruzione.
Il secondo intervento, diretto dal prof. Guglielmo Ragozzino, editorialista de Il Manifesto e di sbilanciamoci.info, è stato incentrato sulla guerra nella storia, rivolgendo l’analisi al comportamento degli Stati nei vari conflitti particolarmente impressi nella memoria collettiva, quelli che hanno rappresentato dei punti di svolta. Guardiamo quindi al volto crudele della colonizzazione, poi al ruolo che gli Usa hanno sempre più prepotentemente rivendicato sulla scena mondiale, passando per le due guerre mondiali, fino ai conflitti contemporanei, sempre guardando alle ragioni economiche che spingono alla guerra, all’aggressione, alla violenza.
In conclusione, il dott. Francesco Ciafaloni ha orientato il suo intervento all’osservazione delle ideologie che affiancano le ragioni economiche. Se il bisogno di prestigio e di nuove risorse muovono i Paesi alla guerra, è vero anche che queste non potrebbero reggersi se non validamente supportate da azioni politiche e di creazione di ideologie in grado di alimentarle e di allargarle.