L’incontro di quest’anno del Gruppo Nord-Est dell’Associazione Comunità Domenico Tardini/Villa Nazareth, si è svolto a Venezia il 13 ottobre 2018, presso il Seminario Patriarcale della Basilica della Madonna della Salute. È ormai tradizione che studenti del Collegio e associati si ritrovino per un momento di condivisione culturale e conviviale non solo a Roma, dove Villa Nazareth ha sede, ma anche a livello locale, nei territori di appartenenza. Villa Nazareth, infatti, accresce ogni anno la sua presenza in tutto il territorio nazionale, come testimonia l’aumento del numero di studenti e associati non residenti a Roma. Nello spirito di servizio, a cui è chiamata ad ispirarsi ogni iniziativa di Villa Nazareth, questi incontri sono però aperti a tutta la comunità ospitante: nel caso di specie la città e la diocesi di Venezia. Sabato 13 ottobre la partecipazione è risultata significativa, sia per qualità sia per numero: associati, studenti, accademici, imprenditori, professionisti, personalità delle istituzioni. In tutto oltre un centinaio di persone. Dopo le conferenze della mattina e il pranzo, circa una cinquantina di presenti hanno potuto vivere l’esclusiva esperienza delle visite pomeridiane ad atelier e laboratori dell’Accademia di Belle Arti, aperti eccezionalmente per l’occasione.

Tornando al convegno, la tematica affrontata è stata chiaramente rappresentata già nel titolo:
“esperienza artistica e spiritualità, quale relazione?” E, di conseguenza, artisti e Chiesa, quale rapporto? A questa domanda hanno provato a rispondere i due relatori nel corso della conferenza, che è stata presieduta e coordinata da Lamberto Iezzi, Consigliere e Responsabile del Gruppo Nord-Est dell’Associazione Comunità Domenico Tardini. Ad introdurre la tematica è l’arcivescovo mons. Claudio Maria Celli, vicepresidente della Fondazione Comunità Domenico Tardini, che porta alla nostra attenzione due discorsi inerenti alla medesima questione tenuti rispettivamente da Papa Giovanni Paolo II nel 1999 e da Papa Benedetto XVI nel 2008. Giovanni Paolo II ricorda in particolare come la società necessiti di artisti, al pari di scienziati, medici e tecnici: la bellezza, espressa attraverso l’arte, è chiamata a suscitare stupore, meraviglia, avvicinando al trascendente. “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. […] Per questo la bellezza delle cose create non può appagare, e suscita quell’arcana nostalgia di Dio […]». Benedetto XVI, d’altra parte, in un discorso tenuto alle Pontificie Accademie, si sofferma sul ruolo estetico ma anche etico dell’arte: se la bellezza artistica si riduce a mera estetica, ad un’apparenza effimera e banale, ovvero se la ricerca del bello non stimola la ricerca della bontà e della verità, l’arte perde di significato.


La chiesa e gli artisti: storia di un amore difficile

Massimo Moretti, docente di Storia dell’Arte della Sapienza, delinea un percorso di lungo periodo che comincia con i primi artisti citati nell’antico testamento, Bezaleel e Ooliab, ai quali si deve la fabbricazione dell’antica arca dell’Alleanza e del primo Santuario, la tenda di Israele. Partendo dalle pagine del capitolo 36 dell’Esodo si delinea l’ideale di un artista dotato di “saggezza e intelligenza” che si fa ministro di Dio e si pone al servizio del suo mistero. Anche con l’aiuto di colti e ambiziosi committenti, gli artisti del Rinascimento tornarono su queste pagine interpretandole attraverso nuove immagini, come la foederis arca adombrata nella figura della Vergine del parto (arca della nuova alleanza che contiene la nuova legge, ovvero Cristo) di Piero della Francesca a Monterchi (Arezzo). Il percorso iconografico proposto da Moretti è proseguito con le figure leggendarie dei primi artisti cristiani ricordati dalla tradizione apocrifa: San Luca evangelista, protettore degli artisti e titolare delle più famose gilde e accademie dei pittori, Nicodemo autore di un Crocifisso miracoloso, i Santi Quattro Coronati scultori martirizzati all’epoca di Diocleziano. Vi sono poi gli artisti celebrati dalla letteratura artistica come particolarmente devoti: Vuolvinio che si rappresenta nell’altare reliquiario della basilica di S. Ambrogio a Milano, Pietro Cavallini, autore di un celebre Crocifisso davanti al quale pregava S. Brigida fino a fra Giovanni da Fiesole, celebrato vivente come il Beato Angelico. Quest’ultimo, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1982, fu indicato come riferimento sommo per gli artisti cristiani già dal celebre cardinale Paleotti, arcivescovo di Bologna, nel suo Discorso intorno alle immagini Sacre e Profane (1582) e ancora da Pio XII che con l’inaugurazione della prima mostra monografica nel 1955, aprì ufficialmente la causa di beatificazione.

Il rapporto tra Chiesa e artisti è stato tuttavia problematico per la tensione sempre viva tra richiesta di opere fedeli all’insegnamento del magistero e necessità di una espressione libera dell’artista. Questo rapporto d’amore difficile, come dice il titolo dell’intervento, è stato disciplinato attraverso i concili (in particolare il Concilio Niceno II e il Concilio di Trento), i sinodi locali, sino ai più moderni messaggi agli artisti indirizzati nel secolo scorso da Paolo VI e Giovanni Paolo II. La Chiesa non ha mai voluto rinunciare al linguaggio figurativo, alla Biblia pauperum come diceva Gregorio Magno. Tra gli artisti che meglio hanno espresso la tensione tra licenza e dottrina Moretti ha ricordato chiaramente Michelangelo, esempio di libertà nell’arte e fedeltà alla Chiesa. A tale genio, ha spiegato Moretti, l’artista ha concesso una certa autonomia salvo poi, dopo la sua morte, esercitare il suo controllo con atti di forte impatto simbolico, come il processo a Paolo Veronese per la magnifica Ultima Cena (1573), oggi alla Galleria dell’Accademia, reputata troppo licenziosa e priva di decoro dal tribunale del Santo Uffizio che con un’azione censoria dimostrava la sua capacità di controllo nella libera Repubblica di Venezia. A dieci anni dalla chiusura del Concilio di Trento, Paolo Veronese, citando cripticamente Orazio, si dichiarava nel corso del suo interrogatorio, fieramente al pari dei poeti e dei matti, libero di riempire i vuoti a disposizione di figure suscitate dalla sua fantasia nutrita della grande varietà di tipi, costumi, soggetti che la realtà cosmopolita della Serenissima poteva offrirgli.

La lingua scultorea come energia cosmica che dischiude al silente dialogo con il sacro

L’ultimo intervento è stato quello di Giuseppe La Bruna, scultore, professore e Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, che, dopo un’introduzione su ruolo e importanza di quest’ultima, si è ricondotto alla tematica del convegno, richiamandosi alle sue personali opere scultoree. La Bruna ha sottolineato quanto l’Accademia sia un polo culturale significativo e fecondo per il territorio veneziano e nazionale, avendo ospitato e formato molti artisti divenuti protagonisti della storia dell’arte italiana. Ma la fama dell’Accademia di Venezia non si ferma ai confini della penisola: l’opera di La Bruna, come Direttore, ha esteso la reputazione di questa istituzione anche all’estremo oriente. I dati oggi parlano chiaro: su 1.200 studenti attualmente iscritti all’Accademia, ben 200 sono di origine cinese. Dopo questa introduzione, La Bruna lascia i panni da Direttore e indossa quelli di scultore, per offrirci una visione a tutto tondo dei temi affrontati con le sue opere. In particolare La Bruna richiama il tema della spiritualità: pur non aderendo ad una particolare confessione religiosa, in quanto artista non può non percepire l’ispirazione di ciò che di divino lo circonda. E’ l’energia cosmica che dà una forma fuggevole a molti corpi scolpiti da La Bruna, slanciati e rivolti verso l’alto come in contemplazione. Eventi, sentimenti, energia cosmica… rappresentano la dimensione spirituale in cui qualsiasi uomo è immerso e dalla quale qualsiasi artista può essere ispirato. Non è il volto del Dio cristiano, ma una personale esperienza di meditazione sul passato, di vita che scorre e di visione del futuro, rispetto a cui il punto fermo, la stella polare è data dalla storia, registrata nella scrittura.

Glassound (Mostra ai Magazzini del Sale) e Atelier dell’Accademia di Belle Arti

Immediatamente dopo il pranzo comunitario, presso il Seminario Patriarcale, i presenti sono stati guidati dalla competenza di alcuni studenti dell’Accademia, attraverso la mostra ai Magazzini del Sale “Glassound”: esperienza suggestiva e molto apprezzata. Attraverso ambienti ricchi di suoni e di luci soffuse, le opere esposte hanno suscitato meraviglia e valorizzato nel contempo un prodotto tipico dell’artigianato e dell’arte locali: il vetro. E la forma di questi oggetti viene determinata dal suono, che richiama le sonorità tipiche dei luoghi in cui nascono tali opere: le fornaci. Successivamente i visitatori si sono trasferiti all’Accademia di Belle Arti, nella pregevole sede storica dell’ex Ospedale degli Incurabili, dove docenti di storia dell’arte e di litografia hanno condotto gli ospiti attraverso atelier e laboratori, illustrando modalità d’insegnamento, tecniche realizzative e opere degli studenti. Partendo dalle aule di pittura, ci si è mossi verso i due laboratori di scultura, uno improntato sulla tecnica, tenuto dal professor La Bruna, e l’altro focalizzato sulla sperimentazione. Esposte in gran numero le splendide opere di tesi degli studenti laureandi. In seguito la visita si è sviluppata attraverso i laboratori di litografia, dove il docente ha illustrato strumenti e tecniche di produzione, quali matrici e immersioni in grandi vasche. La visita è quindi terminata con l’accesso ai corridoi degli ultimi piani dell’Accademia, in particolare all’interessante sezione dedicata allo studio anatomico e della forma umana. Calorosi abbracci e simpatici sorrisi di congedo, hanno quindi concluso questa giornata intensa e davvero suggestiva.

Resoconto a cura di Matteo Cannavina